Tra i diversi metodi proposti per la conservazione ex situ di germoplasma autoctono, le tecniche di coltura in vitro o micropropagazione, già a partire dagli anni Settanta, hanno dimostrato grandi potenzialità applicative a supporto dei sistemi più tradizionali di propagazione del materiale vegetale. Mediante tale tecnica, porzioni di organi e tessuti prelevati da piante madri appartenenti alle varietà e agli ecotipi identificati sul territorio e inclusi nella collezione, saranno allevati in condizioni ambientali controllate e su substrati nutritivi a composizione definita, formulati modulando la tipologia e la concentrazione delle componenti minerali, organiche e soprattutto ormonali in funzione della risposta del genotipo e dell’attività rigenerativa che si è voluto indurre nell’espianto (sviluppo di nuove gemme ascellari, allungamento in senso assiale, radicazione, ecc.). Tutte le operazioni verranno svolte in condizioni di asepsi in modo da ridurre al minimo i possibili rischi di contaminazione esterne, facendo uso di cappe a flusso laminare, dotate di efficienti sistemi di filtraggio dell’aria, e impiegando strumenti sterili (piastre, pinze, bisturi) per la manipolazione del materiale vegetale. L’obiettivo di questa tecnica di conservazione è di poter disporre di una notevole quantità di individui per ogni singola accessione al fine di allestire la banca del germoplasma partendo da un ridotto numero di piante madri, con cicli di propagazione indipendenti dalla stagionalità, in tempi e spazi ridotti, con garanzie di sanità e di rispondenza genetica del materiale ottenuto. Il protocollo di propagazione in vitro che sarà adottato è articolato in cinque fasi di seguito sintetizzate: selezione della pianta madre e prelievo di espianti iniziali; avvio delle colture asettiche (sterilizzazione e stabilizzazione in vitro); proliferazione o moltiplicazione; conservazione; radicazione e acclimatamento (o ambientamento).
Per l’allestimento delle colture in vitro saranno prelevate dagli individui selezionati porzioni di materiale vegetale (espianti iniziali), diverso a seconda della specie. Questo materiale sarà trattato con soluzioni sterilizzanti (a base di ipoclorito di sodio o di cloruro di mercurio), modulando concentrazioni e tempi di contatto in relazione alla stagione di prelievo e, quindi, alla consistenza degli espianti. Questi, in seguito, vengono trasferiti, in condizioni di asepsi, all’interno di appositi contenitori (di plastica) e posti su un substrato artificiale, con funzione di supporto fisico e nutritivo e addizionato di agar-agar. I contenitori vengono posti in apposite camere di crescita, in un ambiente controllato per temperatura, umidità relativa, fotoperiodo e intensità luminosa. Il materiale sterile e vitale, che supererà con successo la fase di stabilizzazione viene avviato alla successiva fase di proliferazione (o moltiplicazione). Su substrato idoneo viene indotto lo sviluppo di uno o più germogli che si differenziano in periodi variabili secondo la specie. Dai germogli così ottenuti verranno prelevate porzioni uni- o bi-nodali che su specifico substrato nutritivo, differenzieranno, a loro volta, nuovi germogli. Per ciascuna accessione verranno effettuati cicli successivi di subculture di moltiplicazione, fino ad ottenere un’adeguata quantità di individui. Gli espianti derivanti dalla proliferazione saranno destinati alla conservazione o indotti alla radicazione. Le piantine radicate saranno, infine, destinate alla fase di acclimatamento in serra, impiegando un idoneo substrato colturale e in condizioni ambientali progressivamente sempre più naturali, fino al recupero dell’attività fotosintetica e della completa autotrofia. Le piante, una volta acclimatate, potranno essere trasferite in pieno campo per la costituzione del campo catalogo o a fini produttivi o di ricerca.